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letteraria.

giovedì 26 settembre 2013

Pubblico & Privato ovvero: trangugia e divora

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Di recente Letta Jr., incalzato dai giornalisti per il passaggio di Telecom (e della sua infrastruttura di rete) ad una società spagnola, ha risposto che il governo poteva fare ben poco, visto che si trattava di accordi tra privati.



Un po' di storia:  per il settore della telefonia, come per quello dell'elettricità, esistevano varie società private che gestivano le rispettive reti in modo disomogeneo in  regioni diverse (STIPEL, TIMO, TELVE, TETI e SET).

Nel 1964 il governo di centro-sinistra (ma la spinta principale venne dai socialisti) promosse le nazionalizzazioni, tra le altre sorsero l'ENEL per l'elettricità e la SIP - Società Italiana per l'Esercizio Telefonico per la telefonia.

I privati ebbero così i primi soldi dallo Stato, quale rimborso per queste nazionalizzazioni e dovettero essere tanti al punto che furono emessi una gran quantità di titoli del debito pubblico per poter finanziare il rimborso agli azionisti delle società acquisite dallo Stato.

Nel corso della sua gestione, lo Stato investì parecchio in queste società per rendere omogenee in tutt'Italia le reti, il servizio ecc.

Naturalmente per poterlo fare adoperò i soldi pubblici.

La cosa aveva un senso, la telefonia è una delle attività strategiche per lo sviluppo di una nazione e il controllo dello Stato sulle medesime avrebbe garantito una equa distribuzione alle utenze su tutto il territorio nazionale. In parole povere stesso costo e medesimo trattamento per tutti in tutto il paese.

Purtroppo siamo in Italia e la politica ha adoperato le sue aziende per proprio tornaconto, appesantendole di personale e di costi superflui, che poco avevano a che fare con strategie statali di equità nella distribuzione.

La soluzione fu di vendere la SIP (con la sua rete) ed altre aziende pubbliche ai privati, perché a detta dei politici, in Italia i "privati" sono capaci di gestire un'azienda meglio del pubblico.

I privati, però, perseguono interessi che spesso (direi quasi sempre) non coincidono con quelli della nazione; le lamentazioni sulle condizioni di queste aziende (ignorando volutamente il valore aggiunto delle reti di distribuzione) hanno fatto sì che lo Stato le abbia in effetti svendute.

In realtà anche i così tanto elogiati privati non hanno fatto meglio dello Stato. Oltre a licenziare il personale, esternalizzare i servizi, vendersi le proprietà immobiliari per far cassa, hanno investito poco in innovazione e in tecnologia, fornendo servizi sempre più scadenti, adoperando le aziende più che altro come strumenti nel mondo della finanza.

Le hanno cioè finite di spolpare.

Diventate ormai scatole vuote, piene però di debiti, le vendono a terzi, magari operatori stranieri.

Se  tiriamo le somme avremo che i privati hanno guadagnato tre volte: in occasione delle nazionalizzazioni, nella conduzione dopo il ri-acquisto a prezzi di saldo e nella nuova vendita a soggetti terzi.

Il pubblico – ossia noi – invece, ci ha rimesso sempre, sia in occasione delle nazionalizzazioni (con l'aumento del debito pubblico per rimborsare i privati), sia nell'esercizio dello Stato (con l'appesantimento di queste aziende, i costi, gli indebitamenti ecc.), sia nel ri-acquisto da parte dei privati (giacché sono state loro svendute), sia nell'esercizio dei privati (in termini di qualità del servizio e in termini sociali per lo sfoltimento del personale ed il conseguente ricorso agli ammortizzatori sociali) e ci rimette pure nella vendita a soggetti terzi stranieri, poiché infrastrutture strategiche per la nazione, dipenderanno da proprietà poste fuori da essa.


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