Non c’è dubbio che siamo
tempestati da una mole impressionante di informazioni.
I nuovi media, internet,
il villaggio globale hanno aggiunto notizie, dati, indicazioni a quanto già
disponibile stampato su carta.
Districarsi in tale ginepraio, fatto da notizie vere, false e anche artefatte, spesso dolosamente, è difficile per chi non si è abituato fin dalle prime letture, ad una analisi critica di ciò che leggeva.
Non che questo
atteggiamento lo preservi da errori, anche perché, sovente, l’accettazione di
una data informazione dipende anche dall’affinità dei contenuti della stessa
con il proprio retaggio, ma almeno lo induce ad un metodo di lettura attento,
completo, teso a comprendere appieno quel che si sta leggendo a differenza di
chi, invece, legge superficialmente, senza approfondire o si limita alle prime
righe, se non solo ai titoli.
Il secondo metodo lo
definirei “fast reading” e il primo “slow reading”.
Lungi da me creare
categorie metodologiche, non ne avrei nemmeno i titoli, mi piaceva però
accostare la lettura al cibo, ovvero ai locali e al sistema di confezionarli:
il “fast food”, molto simile ad una mensa aziendale, dove il cibo è preparato
in serie e in gran quantità in un altro posto, pre-cotto e confezionato prima di
essere distribuito ai punti di consumo e lo “slow food”, rappresentato da
trattorie caserecce, dove il cibo viene preparato e cucinato al momento,
imponendo un’attesa che magari favorisce la riflessione.
Chi accede al sistema
“fast” usufruisce di un qualcosa di cui non conosce né l’origine, né il
percorso, che è sostanzialmente simile e ripetitivo dovunque lo si voglia
usufruire e il cui unico vantaggio – ammesso e non concesso che sia
effettivamente un vantaggio – è di essere immediatamente disponibile.
Viceversa chi preferisce
il metodo “slow”, è più attento alla qualità della materia prima e desidera che
questa sia trattata secondo le regole corrette, anche a scapito della quantità
e della velocità di assunzione del prodotto finito.
Personalmente sono per
l’approccio “slow”. Cerco cioè di ragionare su quel che mi viene presentato,
non lo accetto a priori e lo confronto con altri dati, prima di costruire la
mia personale opinione sull’argomento.
Temo che chi invece opti
per la soluzione “fast”, macini sì una gran quantità di informazioni, ma la
superficialità con cui apprende le notizie e la mancanza di un’analisi
approfondita delle stesse, faciliti la formazione di un’opinione alquanto
omologata a ciò che il sistema, che governa la gran parte – se non tutta – dell’informazione
vuole far intendere al pubblico, limitando così il numero delle persone
critiche e rafforzando l’establishment.
Ecco quindi che il sistema
trova nelle persone che spesso opprime, le migliori alleate al proprio
perpetuarsi.
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